Quando mangiamo, lo facciamo con tutti i sensi. Probabilmente non ce no accorgiamo ma “mangiare con gli occhi” un piatto finemente preparato appaga la nostra vista. Mentre il sordo schiocco della tavoletta di cioccolato che si spezza o il suono di un cibo croccante quando viene addentato, sono caratteristiche fondamentali per farci apprezzare in toto un alimento. Ma, senza dubbio, è il gusto il principe dei sensi quando si parla di cibo.

Gusto o sapore?

Siamo spesso portati a fare confusione tra i termini “gusto” e “sapore” e ad usarli come sinonimi uno per l’altro. Ma c’è una bella differenza. Il “gusto” è quello che riusciamo a percepire con le nostre papille gustative, quindi dolce, amaro, acido e umami (e forse anche un nuovo gusto, di cui parleremo più avanti). Mentre il sapore è l’insieme delle sensazioni percepite a livello della bocca e nella zona retro-nasale, compresi aromi e profumi. Quando diciamo ad esempio che una caramella “ha il gusto di fragola” in realtà ci stiamo riferendo al sapore. Quello della fragola non è un gusto fondamentale ma è l’insieme di aromi percepiti con il naso e nella gola che caratterizzano inequivocabilmente il sentore di fragola.

La definizione di questi termini, dunque, non è affatto scontata e banale: si indica infatti l’insieme delle sensazioni percepibili in bocca, che, contrariamente a quanto potremmo pensare, non sono rappresentate esclusivamente da ciò che consideriamo gusto in senso stretto (dolce, amaro, ecc), ma anche da una serie di sensazioni chimiche, olfattive, tattili e termiche associate all’ingestione degli alimenti.

 

Il sentore di fragola non è un gusto ma un saporeGusto e sapore sono spesso confusi ma hanno due significati molto diversi

 

Fisiologicamente il gusto, nell’accezione comune del termine, ha origine nei bottoni gustativi (o papille), strutture in cui sono accolti i recettori gustativi, distribuiti in prevalenza sulla superficie della lingua, ma anche sulla mucosa del palato, sul fondo della bocca e sull’epiglottide.

Come tutti saprete, in realtà i gusti non sono soltanto quattro, come qualche anno fa si insegnava a scuola. Infatti, se fino agli inizi del secolo scorso la scienza riconosceva ufficialmente solamente i gusti dolce, salato, amaro e acido (o aspro), nel 1908 Kikunae Ikeda stravolse questa classificazione. Il professore di chimica dell’Università Imperiale di Tokyo, dopo una serie di ricerche sul sapore forte del brodo di alghe Konbu, isolò il glutammato monosodico ed a questo componente attribuì la responsabilità del particolare sapore del piatto tipico giapponese.

Da tale scoperta si venne a configurare l’esistenza di un quinto gusto fondamentale: umami, che in lingua giapponese significa “saporito” e indica per la precisione il sapore di glutammato, unico e non riconducibile a nessun altro gusto fondamentale . Il glutammato monosodico, sebbene abbia una cattiva reputazione, è in realtà un sale di un aminoacido, quindi uno dei componenti delle proteine, che ritroviamo in molti alimenti naturali, ad esempio i formaggi: infatti, se ci fate caso, gli alimenti ricchi di proteine sono quelli con un maggior livello di sapidità, o di umami per dirla alla giapponese.

Senza dubbio molti di voi potranno ricordare di aver appreso tra i banchi di scuola che diverse regioni della lingua sono responsabili della percezione di diversi gusti. Vi avranno certamente invitato ad assaggiare un cibo dolce con la punta della lingua, l’area di maggiore sensibilità a questo sapore , mentre vi avranno raccontato che il sapore salato è principalmente percepito nella zona mediana-esterna della lingua e poco dietro la punta. Chi non ama il sapore acido dovrebbe sapere che è maggiormente avvertito nella parte mediana-interna della lingua, quella verso il centro, mentre il sapore amaro nella parte posteriore della stessa.

 

Varie zone della lingua permettono di percepire gusti diversiOgni area della lingua è particolarmente sensibile ad un gusto specifico

E l’umami?

La questione non è chiara. Molti lo associano ancora con il salato, altri lo percepiscono in fondo alla lingua, principalmente dopo la deglutizione, per altri consiste in un generale aumento delle percezioni gustative a livello di tutta la bocca.

Un mistero ancora irrisolto.

A dire il vero, in contrasto con questa teoria classica che tutti noi conosciamo, studi recenti hanno appurato che la percezione dei cinque gusti non è esclusivo appannaggio di determinate zone della lingua, ma è in realtà estesa all’intera superficie, seppure con sensibilità diverse. Le aree normalmente ritenute responsabili della percezione dei singoli sapori sarebbero più sensibili in termini quantitativi e questo fenomeno induce a credere che la percezione di un determinato sapore si rilevi esclusivamente in una specifica zona della lingua anche se così non è.

Un nuovo gusto…

E se a questo punto vi dicessimo che sembra esista un sesto gusto, cosa ne pensereste? Probabilmente vi starete appellando alla vostra memoria gustativa per cercare di capire quale cibo a voi noto abbia un gusto tanto peculiare da non poter essere ricondotto a nessuno dei cinque già conosciuti. Avete qualche idea?

Secondo alcuni ricercatori americani, che hanno pubblicato il loro interessante lavoro sulla rivista Chemical Sense, esisterebbe un sesto gusto legato all’assunzione degli acidi grassi: l’oleogustus. Gli studiosi sono giunti a tale conclusione dopo aver sottoposto un campione di persone ad un esperimento: ad un gruppo di individui è stato infatti chiesto di tapparsi il naso (per non influenzare le papille gustative con l’olfatto) e di assaggiare una serie di alimenti, indicando quale gusto si avvertisse in prevalenza. Sorprendentemente, l’esperimento ha rivelato che il sapore degli acidi grassi è stato distinto nettamente e identificato come una categoria a parte. Per definire il gusto oleoso e grasso i ricercatori hanno fatto ricorso al latino, coniando un termine raffinato e altisonante: oleogustus.

 

Oleogusto: il sesto gustoSembra che il gusto dei grassi sia distintamente percepito dai nostri recettori e sia totalmente diverso dagli altri gusti conosciuti

“Il sapore degli acidi grassi è terribile – spiega in un’intervista a Time Richard D. Mattes, docente di scienze della nutrizione alla Purdue University, nonché tra gli autori della ricerca – La cremosità e la viscosità che associamo al cibo grasso è in gran parte dovuta ai trigliceridi: una molecola con tre acidi grassi che lascia più una sensazione generale alla bocca, che non un vero e proprio stimolo del gusto. Per capire di che cosa stiamo parlano, immaginate di riscaldare molto a lungo la vostra friggitrice e assaggiare subito il cibo che ci cucinate dentro. Non sarebbe piacevole. L’industria alimentare lo sa da molto tempo, e per questo cerca di mantenere la concentrazione di acidi grassi sotto la soglia di percezione. Se la presenza è più bassa di questo livello, infatti, il sapore può risultare piacevole. Così come si può gradire l’amaro del vino, del cioccolato o del caffè. Insomma, classificare un nuovo gusto ci aiuterebbe a capire meglio il cibo e a migliorarne la qualità e la sicurezza”.

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